IL GIUDICE TUTELARE

    Letti gli atti del proc. n. 8023 RGNC.- 2005;
    Visto  l'originario ricorso per interdizione ex art. 712 c.p.c. e
il relativo esito decisorio ex art. 418 c.c;
    Letto  l'elaborato  medico-legale  depositato  dal  C.t.u.  dott.
Marcolin,  incaricato  da  questo  giudice  tutelare  di accertare la
attuale  condizione  psico-fisica  della  «beneficiaria»  F.  N., che
risulta  affiancata  da un amministratore di sostegno nominato in via
provvisoria dal Tribunale rimettente;
    Preso atto che il quadro clinico emergente e' di tale gravita' da
escludere  nella  F. qualsiasi capacita' residua non solo di curare i
propri  interessi,  economici  e  non, ma anche di rapportarsi con se
stessa   e  con  gli  altri,  in  quanto  affetta  da  una  forma  di
insufficienza   mentale   di   elevata   gravita'   (ed   esattamente
Cerebropatia  di  origine perinatale) che si e' stabilizzata in guisa
irreversibile  e  che  incide  negativamente  non solo sulle funzioni
motorie,  oltremodo  limitate, ma anche su quelle psichiche superiori
del giudizio 1), al punto che la stessa non e' in grado di effettuare
nessuna  valida  operazione  mentale  e  non  puo'  relazionarsi  con
l'esterno anche su livelli e per finalita' elementari;
    Preso   atto,  in  particolare,  che  la  F.  «a  causa  di  tale
menomazione  ha  una  perdita  totale  di tutte le funzioni psichiche
superiori,  manca  la  consapevolezza  della  propria  deficitarieta'
psicofisica  ed,  ovviamente  ed ancor piu', della propria situazione
patrimoniale»;
    Ritenuto  in  definitiva  che  tale compromissione delle facolta'
motorie e intellettive preclude alla F. da un lato di compiere da se'
sola  qualsivoglia  atto  della vita quotidiana, compresi quelli piu'
elementari,   dall'altra  di  elaborare,  prendere  consapevolezza  e
comunicare all'esterno aspirazioni e bisogni esistenziali;
    Ritenuto pertanto che la F. non potrebbe in alcun modo esercitare
i  diritti  e  le  facolta'  che  la legge introduttiva dell'istituto
dell'amministratore  di  sostegno assicura, in funzione di garanzia e
tutela, al beneficiario di tale nuova misura di protezione, in quanto
presuppongono un soggetto in qualche modo cosciente di se' e in grado
di  interloquire,  portatore  di  un  proprio  punto  di  vista,  con
l'ambiente esterno;
    Ritenuto  infatti  che  la  F.  non  solo  e' nell'impossibilita'
psico-fisica  di  comunicare al giudice tutelare e all'amministratore
di  sostegno  i  propri bisogni e le proprie aspirazioni, ma non puo'
neppure  essere  informata  degli  atti  giuridici  da  compiersi  ed
autorizzarsi  nel  suo interesse, ne', a maggior ragione, e' in grado
di  valutarli  secondo  la  propria  scala  di  valori e di esprimere
eventuali dissensi;
    Ritenuto  pertanto  che  la  concreta  gestione  della  misura di
protezione  dell'  a-d.s.  non  puo' nel caso di specie compiutamente
conformarsi  al  modello legale, in alcuni dei suoi piu' qualificanti
aspetti e garantisti;
    Rilevato  che  l'amministratore  provvisorio  di  sostegno, nella
persona  di  T.A., madre della beneficiaria, ha chiesto a questo g.t.
l'autorizzazione  alla  vendita  della  quota,  parti  a  2/15  di un
fabbricato   sito   nel  comune  di  Chioggia,  di  pertinenza  della
beneficiaria  F.  n. e  al  successivo  acquisto, con il prezzo cosi'
ricavato, di una quota, pari a 1/6 di altra unita' abitativa, sita in
Codevigo, di proprieta' della stessa T. A. e degli altri suoi figli;
    Ritenuto  che  tale operazione di vendita e contestuale acquisto,
cui  seguirebbe  il trasferimento della residenza della beneficiaria,
attualmente   fissata   presso   la   abitazione  sita  in  Chioggia,
nell'immobile  di  Codevigo,  e'  verosimilmente nell'interesse della
beneficiaria,  non  solo  perche'  la nuova sistemazione abitativa si
sviluppa  su  un  unico  piano  e  ha, per le sue dimensioni ridotte,
minori  costi  di  gestione,  ma  anche  perche'  la  amministratrice
potrebbe  essere coadiuvata nell'opera di assistenza anche dall'altra
figlia F.F. che abita in quel comune;
    Ritenuto  che,  secondo  una prima interpretazione proposta dalla
dottrina,  la  concessione  del  provvedimento ex artt. 411 e 374-375
c.c. potrebbe prestarsi, in un caso simile a quello specie, a rilievi
di  illegittimita', in quanto autorizzerebbe un atto di compravendita
verosimilmente  invalido,  e cosi' ai sensi dell'art. 412 c.c., primo
comma,  c.c.,  per sospetta violazione di legge, in particolare delle
disposizioni   ex  art.  410  c.c.,  nella  parte  in  cui  impongono
all'amministratore   di  sostegno  di  informare  preventivamente  il
beneficiario  circa gli atti da compiere, di raccoglierne l'eventuale
dissenso e di comunicarlo al g.t.;
    Rilevato, in particolare, che nel caso di specie tali adempimenti
non sono stati eseguiti dall'amministratore provvisorio di sostegno e
che, viste le condizioni psichiche in cui versa la beneficiaria, come
sopra evidenziate, gli stessi sono sostanzialmente impossibili;
    Rilevato,  tuttavia,  che,  secondo l'orientamento interpretativo
fatto   proprio   dal   Tribunale   di   Venezia,   il  provvedimento
autorizzatorio  pronunciato  dal g.t. e perfettamente legittimo anche
in concorso tali presupposti di fatto;
    Ritenuto,  pertanto,  che  sia  rilevante, nel caso di specie, la
questione  di  costituzionalita' degli artt. 410, 411, primo comma, e
412  c.c.,  in relazione agli artt. 2, 3, 41 e 42 della Costituzione,
nella  parte  in  cui  attribuisco  direttamente  al g.t., ossia a un
organo  monocratico,  il  potere  di autorizzare atti di disposizione
incidenti   sul   patrimonio   dell'interessato,   anche  quando,  in
conseguenza  delle  condizioni psichiche del beneficiario stesso, sia
impossibile   informarlo  preventivamente  e  provvedere  agli  altri
adempimenti previsti dall'art. 410 c.c..
    Cio' premesso, espone di seguito, le ragioni per le quali ritiene
non    manifestamente    infondata    la    suddetta   questione   di
costituzionalita'.
    A)  La  legge di riforma delle misure di protezione delle persone
in  tutto  o  in parte prive di autonomia, n. 6 del 2004, ha non solo
modificato  in  alcuni aspetti qualificanti, collo spezzare la rigida
predeterminazione  dei  relativi  contenuti  e  effetti incapacitanti
(art.    427,    primo   comma   c.c.),   i   tradizionali   istituti
dell'interdizione  e dell'inabilitazione, ma ha altresi' affiancato a
questi  ultimi  il  nuovo  istituto  dell'amministrazione di sostegno
(artt.  404-413  c.c.),  misura flessibile, modulabile e modificabile
per  definizione,  il  tutto  al dichiarato scopo di limitare il meno
possibile la capacita' legale di agire del soggetto in difficolta'.
    In verita', il nuovo istituto non ha del tutto abbandonato quella
peculiare  tecnica di protezione delle persone prive di autonomia che
consiste  nell'invalidare ex ante gli atti giuridici, preventivamente
ritenuti  pregiudizievoli, che l'interessato compia direttamente e da
solo,  e cosi' attraverso lo strumento della rappresentanza esclusiva
e dell'assistenza necessana.
    Ecco  perche',  la  nomina dell'amministratore di sostegno e' una
misura  bifronte:  da  un lato protettiva della persona in tutto o in
parte  priva  di  autonomia,  cosi'  in  quanto la mette al riparo da
condotte   (omissive   e/o  commissive)  pregiudizievoli  per  i  suo
interessi,  dall'altro  potenzialmente  lesiva  della  sua  sfera  di
liberta', se e in quanto le preclude il valido compimento da se' sola
di validi atti giuridici.
    L'a.d.s.  ha  tuttavia  l'ambizione di confinare nei limiti dello
stretto  necessario il ricorso a questa tecnica incapacitante, mirata
a  proteggere  il  soggetto  in difficolta' dalla sua stessa azione e
ricezione pregiudizievole, e che si ritrova, con effetti piu' estesi,
anche  nell'interdizione  e  nell'inabilitazione,  dove e' pero' nata
soprattutto  in  funzione  di tutela patrimonialistica e di sicurezza
dei traffici giuridico-economici.
    Al   contrario,  il  centro  di  gravita'  permanente  del  nuovo
complesso   articolato   sistema   di   protezione,  nel  quale  sono
riconfluiti  anche  l'interdizione e l'inabilitazione, e' ora innanzi
tutto la persona e i suoi bisogni, non solo economici.
    A  tal fine, il nuovo istituto dell'ads consente un ampio ricorso
alla tecnica della rappresentanza suppletiva, detta anche «procura di
sostegno»,  che  senza  incapacitare il soggetto in difficolta', puo'
proteggerlo dalla sua inazione e omessa reazione pregiudizievole (una
tecnica  comunque  non  del tutto indolore e priva di pericoli per la
persona,  in  quanto  la  espone  al  rischio  di subire gli effetti,
patrimoniali  e  non,  di  atti  giuridici che non ha voluto, ma sono
stati decisi da altri).
    Peraltro,  e'  anche vero che il nuovo istituto abilita il g.t. a
disporre  che  determinati effetti (come il carattere esclusivo della
rappresentanza  conferita all'amministratore di sostegno in relazione
a  determinati  atti; la interruzione ex art. 299 c.p.c. dei processo
civile  di  cui gia' fosse parte il beneficiario; la interruzione del
termine  per  proporre  le  relative  impugnazioni ex artt. 325 e 328
c.p.c.,  ecc),  limitazioni  (a  es.  della  capacita' processuale) e
decadenze  previste  da  disposizioni  di  legge  per  l'interdetto e
l'inabilitato,  si  estendano  ai beneficiari dell'amministrazione di
sostegno,  avuto  riguardo  all'interesse  del  medesimo  ed a quello
tutelato dalle predette disposizioni.
    Ma solo ove sia necessario, e nella misura in cui e' necessario.
    In sostanza, il nuovo istituto ha rovesciato la logica precedente
che  faceva  seguire  2)  all'effetto  interdittivo  o inabilitativo,
prodotto   dalla   sentenza   costitutiva   di   interdizione   o  di
inabilitazione pronunciata dal collegio, la misura di protezione vera
e  propria, e cosi' attraverso la successiva nomina da parte del g.t.
di un tutore o di un curatore.
    Nondimeno,  se  l'amministrazione di sostegno e' nata come misura
di  protezione  con  la  minore limitazione possibile della capacita'
legale  di  agire,  ossia  di  un  bene  giuridico  espressione della
liberta'  della  persona  (come  dimostra  il  fatto  che  nel nostro
ordinamento  l'interdizione  puo' anche assumere la veste di sanzione
penale  accessoria:  art.  19,  n. 3,  c.p.),  si deve constatare che
alcune prassi applicative rischiano di trasformarla in una tecnica di
totale incapacitazione con le minori garanzie e cautele possibili.
    Queste   prassi   applicative,   che   si   muovono   sulle   ali
dell'entusiasmo  solidaristico, sembrano infatti riproporre una nuova
forma di interdizione nella quale non trovano applicazione le cautele
e  le  garanzie  gia'  previste  dalla  legge  o  riconosciute  dalla
giurisprudenza   per   l'interdicendo   e   l'inabilitando  (presenza
obbligatoria  in  tutte  le  fasi  del  P.M.,  decisione  collegiale,
necessita' della difesa tecnica), ma neppure quelle piu' qualificanti
previste dalla legge n. 6 del 2004.
    In particolare, non inciderebbe in alcun modo sulla validita' del
procedimento  dell'a.d.s.  la  effettiva possibilita' di acquisire il
punto di vista del beneficiario tanto nella fase di attivazione (art.
407,  secondo comma, c.c.) quanto nel corso della successiva gestione
(artt.   410,   secondo  comma,  c.c.),  coll'effetto,  coerentemente
perseguito e esplicitamente dichiarato, di fare rientrare nell'ambito
operativo   di   tale  nuovo  istituto  anche  i  soggetti  che  sono
nell'impossibilita'  di  curare  i propri interessi quale riflesso di
una   gravissima   o   anche  totale  compromissione  delle  facolta'
intellettive superiori.
    Secondo queste prassi applicative, in altri termini, l'obbligo di
informare  l'interessato  e  di  raccoglierne  il  punto  di vista, e
l'eventuale  dissenso,  sia in ordine all'attivazione della misura di
protezione,  sia  in  ordine  ai singoli atti gestionali da compiere,
compresi gli atti di disposizione patrimoniale, non costituirebbe una
conditio  sine  qua  non di validita' della procedura di nomina e dei
singoli atti gestionali, tant'e' che l'amministrazione di sostegno si
adatterebbe  anche ai soggetti che, per effetto della loro infermita'
o  menomazione  psichica,  non  sono in grado di compiere neppure gli
atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana
(art. 409 c.c).
    Orbene;  questo  G.T.  ritiene  che  una prassi applicativa cosi'
congegnata  non  solo ripropone l'interdizione sotto mentite spoglie,
in  particolare  nella misura in cui preclude alla persona totalmente
incapace  di  intendere  e volere il valido compimento da se' sola di
ogni  atto  di  ordinaria  e  straordinaria  amministrazione,  ma  la
trasforma  addirittura  in  una  brutta  copia di quella tradizionale
misura  incapacitante,  e  cosi'  dal  lato  delle  garanzie  e delle
cautele.
    A  parte infatti l'assenza fisiologica della decisione collegiale
3),  la  (ritenuta)  non  obbligatorieta'  della  difesa  tecnica, la
effettiva  presenza  (ritenuta) non necessaria del p.m. nella fase di
attivazione,   la   (pure   ritenuta)  superfluita'  di  una  perizia
medicolegale (reputata addirittura inopportuna, anche in relazione ai
costi  economici  richiesti),  si  deve  altresi' considerare che una
a.d.s.  gia'  attivata  puo'  essere modificata dal g.t. in qualsiasi
momento  successivo;  e,  proprio  a causa di tale sua caratteristica
quanto   elogiata   «flessibilita»   «elasticita»  «mobilita»,  anche
aggravata   a   dismisura   nei  suoi  effetti  incapacitanti  («...o
successivamente... »: art. 411, ultimo comma, c.c.).
    Tutto  cio'  senza  che  sia  richiesto, secondo tale prassi, sia
nella  fase di attivazione sia nella fase della gestione o in sede di
eventuale   modificazione   (persino   in   peius  sotto  il  profilo
incapacitante),  l'effettivo  coinvolgimento  del  punto di vista del
beneficiario,  or  quando lo stesso e' di fatto impossibile, giacche'
esso  pure  ritenuto nei termini e per le ragioni sopra precisate non
necessario.
    Questo  G.T.  ritiene  che  un  modello applicativo siffatto, dal
quale   ogni   momento  dialettico  qualificante  e'  tendenzialmente
espulso,  rischia  di  ridurre  l'istituto  in  parola  a  soliloquio
inquisitorio   a  fin  di  bene  (esistenziale),  e  sembra  pertanto
contrario allo spirito e alla lettera della legge di riforma.
    Prende  tuttavia  atto che si tratta dell'orientamento prevalente
nella sede giudiziaria nella quale opera, con particolare riferimento
alla   somministrazione   della  misura  dell'interdizione,  siccomre
ritenuta, in questa sede, giammai necessaria. 4)
    Tale  diritto  «vivente»  condiziona  pertanto  le  stesse scelte
operative  di  questo  G.T.,  ivi  compreso  l'esercizio  dei  poteri
autorizzatori  ex  artt. 375 e 376 c.c., siccome richiamati dall'art.
411   c.c.,   nonche'   la   valutazione   dei  relativi  presupposti
legittimanti.
    B)  Il rischio di trasformare l'amministrazione di sostegno nella
brutta  copia dell'interdizione, e cosi' nel senso che le valutazioni
decisorie  del  g.t.  non  devono preventivamente confrontarsi con il
punto  di  vista  di altri magistrati all'interno di un collegio, ne'
con  il  punto  di  vista  del p.m. (la cui effettiva presenza non e'
infatti  obbligatoria),  ne'  con quella di un difensore tecnico, ne'
con  quella  di  un  medicolegale, ne' infine con quello dello stesso
beneficiario,  se  e  in  quanto si tratti di soggetto dalle facolta'
psichiche  completamente  compromesse,  si puo' in effetti apprezzare
anche  con riferimento a quegli atti di straordinaria amministrazione
particolarmente   qualificati  che  sono  gli  atti  di  disposizione
patrimoniale.
    Mentre  infatti  la  vendita dei beni immobili dell'interdetto e'
autorizzata  dal  tribunale  in composizione collegiale su parere del
g.t.,  la  vendita  dei beni immobili del soggetto beneficiario della
nuova  misura  di  protezione e' autorizzata direttamente dal giudice
Tutelare  (art.  411 c.c.), senza che sia neppure necessario, secondo
la   riferita   prassi   applicativa,  quanto  meno  in  funzione  di
bilanciamento   e   compensazione   delle  cautele  non  mutuate  dal
procedimento di interdizione, informare preventivamente l'interessato
e  raccoglierne  il  punto  di  vista,  in  particolare  quando  tali
adempimenti  ex  art.  410  c.c. sono di fatto impossibili per le sue
conclamate condizioni psichiche.
    Nei  decreti  di  nomina dell'ads che aderiscono a tale indirizzo
viene  infatti  inserita la clausola finale di salvezza «ove cio' sia
possibile».
    Orbene;  la criticita' di questa situazione, ossia la attivazione
di  una  A.di  S.  a  favore  di  un  soggetto totalmente incapace di
intendere  e  volere,  o persino tamquam mortuus corpus 5), e che per
effetto  di  tale  condizione  psichica  non  puo'  essere  utilmente
informato  di  un  atto  di  disposizione patrimoniale immobiliare da
compiere  nel  suo interesse, ne' tampoco e' in grado di esprimere un
suo punto di vista al riguardo, e' stata avvertita da una accreditata
dottrina  che  ha  messo  in  luce i riflessi che ne possono derivare
sulla  validita'  dell'atto  di  disposizione e suggerito i possibili
rimedi.
    Secondo   la  richiamata  dottrina,  che  pure  sembra  ammettere
l'applicabilita'  della  nuova misura di protezione anche a favore di
soggetti  con  gravissime  compromissioni  delle  facolta'  psichiche
superiori,  potrebbe  essere il notaio, in sede di stipula del rogito
notarile autorizzato dal g.t., a verificare preventivamente, in linea
con  quanto  previsto  dall'art.  47  della  legge notarile n. 89/13,
disposizione  che  gli impone di indagare la volonta' delle parti, la
corretta  formazione  del  processo decisionale del beneficiario, e a
tal  fine  «ad  ascoltarlo,  ove  capace, ad informarlo del contenuto
tecnico  dell'atto, a controllare la correttezza delle autorizzazioni
ricevute».
    Secondo  questa  proposta  applicativa  «garantista»,  e cosi' in
difetto  di  una  esplicita  disposizione della legge notarile, nella
quale  non  e' rinvenibile l'obbligo del professionista di «accertare
l'esatto  adempimento  del  dovere di informazione di cui al predetto
art.  410  c.c., da parte dell'amministratore di sostegno», il notaio
rogante   dovrebbe  quanto  meno  disporre  «l'inclusione  nel  corpo
dell'atto, ma a fini meramente tuzioristici di apposita dichiarazione
dell'amministratore  di  sostegno, dalla quale, appunto, fa risultare
sia il tempestivo adempimento del dovere di informazione sia, in caso
contrario, quanto meno, le ragioni del suo inadempimento».
    Orbene;   a  meno  di  non  voler  attribuire  efficacia  sanante
all'autorizzazione  (alla  vendita) comunque rilasciata dal g.t., con
conseguente  esonero  di ogni responsabilita' da parte del notaio, si
deve  ritenere  questa  proposta non risolutiva del problema che essa
stessa segnala.
    Infatti, l'omesso inadempimento da parte dell'ads dell'obbligo di
informare  preventivamente  il  beneficiario e di ogni altro previsto
dall'art. 410 c.c., se e in quanto riscontrato dall'ufficiale rogante
in  sede  di stipulazione, porrebbe quest'ultimo di fronte al rischio
paralizzante di stipulare un atto invalido.
    Ne'  puo'  immaginarsi  che sia il notaio a dover accertare se le
condizioni   psichiche   del   beneficiario  rendevano  concretamente
possibile  l'atto  informativo  e  quelli  consequenziali ex art. 410
c.c.,  ovverosia l'attualita' o meno dell'obbligo condizionato di cui
alla  surriferita clausola - «ove cio' sia possibile» - contenuta nel
decreto di nomina dell'ads.
    In  ogni  caso,  questo  g.t.  ritiene  che  il  controllo  sulla
validita'  dell'atto  di  disposizione patrimoniale, da compiere come
nel  caso  di  specie nell'interesse del beneficiario, spetti innanzi
tutto all'organo giudiziario che lo autorizza ai sensi dell'art. 411,
primo   comma,  c.c.,  in  quanto  la  valutazione  sottesa  all'atto
autorizzatorio     non    riguarda    esclusivamente    il    profilo
dell'opportunita',    in   relazione   cioe'   all'apprezzamento   di
quell'interesse,  ma  ancor  prima  quello  della legalita', come gli
impone  ex art. 101 della Costituzione la sua natura di organo che e'
soggetto e da' attuazione alla legge (ivi comprese le disposizioni di
cui agli artt. 410 e 412 c.c.).
    Sotto  questo  profilo,  prende  atto che il Tribunale di Venezia
sede  centrale  fa  proprio  l'orientamento interpretativo secondo il
quale l'art. 412, primo comma, c.c. abilita il g.t. ad autorizzare un
atto  dispositivo  che,  sebbene  difetti  dei  presupposti richiesti
dall'art.  410  c.c.,  sia tuttavia nell'interesse del beneficiario e
dunque   in  linea  con  le  finalita'  solidaristiche  dell'istituto
dell'a.di s.
    Secondo  tale  prospettiva,  infatti,  l'art.  410  c.c. non puo'
costituire un ostacolo alla protezione della persona secondo le forme
previste  dal  nuovo  istituto,  giacche',  diversamente opinando, si
dovrebbe  parlare  di disposizione apparentemente irragionevole: tale
perche',  prevedendo  nei  termini  sopra  precisati  una  condizione
impossibile,  in  particolare  nei  casi in cui l'amministrato ha una
totale   compromissione   delle  facolta'  intellettive,  il  giudice
tutelare  dovrebbe  astenersi dall'autorizzare anche un atto che egli
reputi  nell'interesse dell'amministrato, conseguendone un difetto di
protezione della persona.
    Nondimeno,  e'  proprio  tale  inevitabile esito interpretativo a
indurre  questo  giudice  a  sospettare  di  incostituzionalita', per
verosimile  violazione  degli  2,  3,  41 e 42 della Costituzione, la
disposizione  di  cui all'art. 411, primo comma, c.c., nella parte in
cui,  secondo  tale interpretazione, consente direttamente al g.t. di
autorizzare  gli  atti  di  disposizione  che sono nell'interesse del
beneficiario,   allorche'   non  siano  assolutamente  possibili  gli
adempimenti ex art 410 c.c., siccome sanzionati dall'art. 412 c.c..
    Tale  esito  mette  infatti  in  luce  un diverso, irragionevole,
meccanismo  protettivo che, sotto il profilo delle garanzie e cautele
a  corredo  del  procedimento  autorizzatorio, trova applicazione nel
caso  di  soggetti  che,  sebbene nelle medesime condizioni di totale
compromissione delle facolta' intellettive, si vengano a trovare: gli
uni  sottoposti  all'interdizione,  gli  altri all'amministrazione di
sostegno.
    In   entrambi   i   casi,   infatti,  l'organo  giudiziario  puo'
autorizzare  atti  dispositivi ritenuti nell' interesse della persona
priva di capacita' naturale residua, senza che sia di ostacolo a cio'
l'impossibilita'  di  informarla  preventivamente per raccoglierne il
punto di vista.
    Nondimeno,  mentre  l'atto  dispositivo che incide sul patrimonio
dell'interdetto  viene  autorizzato  dal collegio su parere del g.t.,
quello  che  incide  sul  patrimonio dell'amministrato viene invece e
inspiegabilmente  autorizzato  dal  solo  g.t., senza che tale minore
cautela riscontrabile nella procedura regolata dal combinato disposto
degli  artt.  411, primo comma, 375 e 376. , c.c., sia compensata dal
coinvolgimento  preventivo  del  diretto  interessato,  e  cosi'  nei
termini pure previsti dall'art. 410 c.c..
    Orbene;  se  e'  vero  che l'istituto della interdizione e' stato
confermato  dalla  legge  n. 6  del  2004  e  cosi' pure la procedura
autorizzatoria  ex  artt.  375 e 376 c.c. prevista per la vendita dei
beni   dell'interdetto,  l'interprete  non  puo'  non  domandarsi  in
relazione  quali  situazioni  di fatto e perche' il nuovo complesso e
articolato  sistema delle misure di protezione delle persone prive in
tutto  o  in  parte  di  autonomia ritiene ancora necessario che tale
procedura  si  articoli  in  un  parere  obbligatorio  non vincolante
formulato  dal g.t. e in una decisione collegiale, mentre in altri e'
sufficiente la decisione solitaria di quell'organo monocratico.
    Questo  interrogativo,  al  quale  la  interpretazione  c.  detta
solidaristica  non  e'  in  grado  di fornire una risposta, chiama in
causa  proprio  la diversita' di fondo che intercede tra un individuo
completamente  incapace  di  intendere  e volere e un soggetto che e'
invece in grado di interloquire, ancora portatore di un proprio punto
di vista critico, con il giudice tutelare.
    Solo  in  quest'ultimo  caso  infatti  la  decisione  dell'organo
giudiziario  deve  fare  i  conti  con  le  valutazioni  del  diretto
interessato  riguardo  a  cio'  che  e'  bene  o  male  per lui nelle
condizioni  date,  in  particolare cosa sia meglio fare o non fare in
una certa determinata situazione e nel suo interesse, a es. vendere o
non   vendere  un  immobile,  e  cosi'  non  solo  sotto  il  profilo
strettamente    economico,    ma   anche   affettivo,   esistenziale,
psicologico, medico, logistico, ecc.
    Nel  primo, invece, l'organo giudiziario, e' costretto a decidere
quale  e'  l'interesse  della  persona  totalmente priva di capacita'
naturale  residua,  ossia  quello  che  la cultura liberale chiama il
proprio  della  persona,  senza  la  possibilita' di confrontarsi con
altri  punti  di  vista,  ad esso esterni, ed e' bene, allora, che la
decisione sgorghi da un confronto collegiale, e comunque a piu' voci,
nel  quale  una  dialettica  tra  diverse  scale  di valori o diverse
sensibilita' ed esperienze di vita, possa in qualche modo sopperire a
quel vuoto irrimediabile.
    Ecco perche' tale diversita' nella procedura autorizzatoria, meno
garantista   nel  caso  dell'amministrazione  di  sostegno,  verrebbe
tuttavia   meno  se  la  accertata  impossibilita'  di  attivare  gli
adempimenti  previsti  dall'art. 410 c.c., in particolare nel caso di
totale   o  gravissima  compromissione  delle  facolta'  mentali  del
soggetto  interessato,  integrasse  una  delle ipotesi nelle quali e'
necessaria  la  misura  dell'interdizione,  nell'ambito  della quale,
infatti,   l'atto   di   disposizione   puo'   essere  legittimamente
autorizzato anche senza il coinvolgimento dell'interessato, ma con le
cautele  e  garanzie ivi previste (decisione collegiale su parere del
g.t.).
    Tale alternativa interpretativa e i conseguenti esiti decisionali
ex  art. 413 ult. com. c.c., sono tuttavia qui da escludere in quanto
il  Tribunale  di Venezia-sede centrale aderisce alla tesi secondo la
quale:  l'amministrazione  di  sostegno  ha un ambito di operativita'
pressoche'  omnicomprensivo,  tale  da  rendere giammai necessario il
ricorso all'interdizione e all'inabilitazione.
    Non  resta  pertanto altra via che sollevare la dedotta questione
di costituzionalita', nei termini e per le ragioni sopra precisate.
          1)  Le  funzioni  psichiche  superiori  del  giudizio, come
          ricorda   l'amicus   curiae  nel  suo  elaborato  peritale,
          consistono  nel  continuo  esame  dei  dati  della  realta'
          raffrontati  con  le proprie motivazioni, i propri valori e
          progetti  esistenziali, e nella conseguente elaborazione di
          ipotesi di azioni e di decisioni da mettere, poi, in atto.
          2)  Salvo  la nomina di un tutore o curatore provvisorio da
          parte   del   tribunale   nel  corso  del  procedimento  di
          interdizione/inabilitazione.
          3)  Salvo  la  nomina  di  un amministratore provvisorio da
          parte del tribunale.
          4)  Secondo  un  monitoraggio ufficiale a cura della giunta
          della  Regione  Veneto,  tra il marzo 2004 e il marzo 2005,
          risulta  che  nei  tribunali  del Triveneto su 1508 istanze
          esaminate,  927  si  sono  concluse con un provvedimento di
          nomina  dell'amministratore  di  Sostegno. Nel Tribunale di
          Venezia,  le istanze presentate sono il 48% del totale, con
          una percentuale di accoglimento pari a 46% su 48%.
          5)  Come  era stato definito dall'amicur curiae un soggetto
          il   cui   caso   era  stato  rimesso  dal  tribunale  alla
          valutazione finale di questo g.t.